Nella società moderna pensarsi soli e solitari sembra quasi eresia, come una sorta di condizione punitiva imposta da chi ci circonda; non una scelta propria.

La parola solitudine può ingannare. Essa suggerisce l’idea di starsene da soli, in un luogo isolato. Se pensiamo ai solitari, la nostra mente evoca facilmente immagini di monaci e di eremiti, appartati in siti remoti, lontani dal frastuono di un mondo indaffarato. Infatti, le parole «solitudine» e «solitario» traggono origine dalla parola latina «solus», che significa «senza nessuno».

Nel corso dei tempi molte donne e molti uomini, desiderosi di vivere un’esistenza spirituale, si ritirarono in luoghi remoti come deserti, montagne o fitte foreste, per vivere un’esistenza da reclusi.
Probabilmente è difficile, se non impossibile, trasferirci dalla isolamento alla solitudine senza in qualche modo ritirarci da un mondo che ci distrae, ed è comprensibile che chi cerca di ampliare la propria vita spirituale sia attratto da luoghi o da condizioni di vita dove si possa essere soli con se stessi, a volte in via temporanea, a volte in via più o meno definitiva. Ma in realtà la solitudine che conta è quella del cuore: si tratta di una qualità o di un atteggiamento interiore che non dipendono dall’isolamento fisico.

Noi iniziati abbiamo l’obbligo di guadagnarci e viverci la solitudine perché ci siamo ripromessi, e lo abbiamo fatto a cospetto dell’Onnipotente Iddio, che avremmo percorso incessantemente la via iniziatica. Tale via ha come condizione quella del lavoro su stessi, non un lavoro di comunità, ma un lavoro del singolo sul singolo, un lavoro dell’Io sul Se.

Certamente ci potremmo chiedere come sia possibile che si è da soli nel nostro percorso dato che ogni qual volta che entriamo in Loggia tutti i fratelli si abbracciano, si baciano e si scambiano opinioni e consigli sui più disparati argomenti. Per non parlare dell’eggregore, forza che consta di simultaneità e sinergie.

Tutto ciò però non allontana la solitudine da noi stessi, anzi.  La solitudine cari Fratelli è una condizione necessaria per percorrere un cammino iniziatico, non dobbiamo considerarla come una condizione con accezione negativa ma uno strumento imprescindibile per il NOSCE TE IPSUM.

La nostra Istituzione, soprattutto la nostra loggia, ci mette immediatamente di fronte a questa situazione perché, già prima di affrontare l’iniziazione, dobbiamo confrontarci con noi stessi nel gabinetto di riflessione. Quello è solo il preludio ad una vita che incessantemente ci vedrà di fronte ad uno specchio.

Così scriveva Dante nel II° canto dell’Inferno:

“Lo giorno se n’andava, e l’aere bruno / toglieva li animai che sono in terra / da le fatiche loro, e io sol uno / m’apparecchiava a sostener la guerra / sì del cammino e sì de la pietate, / che ritrarrà la mente che non erra.”

Dante, dopo aver incontrato Virgilio, sembrava aver risolto la questione della Solitudine ma questa era solo una mera illusione. Si accorse ben presto che nel suo cammino da solo doveva affrontare, come la chiama lui, LA GUERRA.

Si, cari Fratelli, la solitudine è una condizione penosa, dove nessuno ci dice cosa dobbiamo fare e come dobbiamo comportarci. Non saranno né i Maestri né i libri a dirci la strada da percorrere. Ognuno di noi è un Initiatus, cioè colui che altri hanno messo sulla via; sforziamoci di diventare Adeptus: colui che ha conquistato la Scienza attraverso sé stesso; in sostanza il figlio delle proprie opere.