
Carissimi Fratelli vi invito per un attimo a chiudere gli occhi ed Immaginarvi ai blocchi di partenza di una corsa podistica, ecco lo start. Iniziate la corsa ma non riuscite a correre come vorreste e come potreste. Siete pesanti, avete un fardello che non vi consente di procedere nella giusta maniera.
Ecco cari fratelli quello che ci spetta quando ci ritroviamo “nel cammin di nostra vita”.
Per anni, decenni, creiamo delle sovrastrutture, dei preconcetti, che rendono difficoltoso il nostro compito. Il concetto principe che vorrei sottolineare è quello riguardante il dover eliminare tutto ciò che di troppo abbiamo. Non mi riferisco di certo ai solo metalli terreni ma a tutto ciò che il nostro Io più egoioco ha costruito nel corso del tempo.
Ognuno di noi è nato con uno stato di purezza scevro da ogni sovrastruttura ma, l’avanzare dell’età, ci fa credere di avere di certezze salde e concrete. La nostra posizione sociale e lavorativa ci fa assumere sicurezze e presunta saggezza. Nessun errore può esser più grande di questo.
Proprio ciò determina il velare noi stessi, ci ricopriamo di qualcosa che rende sempre più difficoltoso il nostro cammino.
L’uomo che si fa da sé è l’immagine che meglio rappresenta il percorso da compiere, colpire forte con maglietto e scalpello ad eliminare ciò che di troppo ci ricopre. I primi colpi dovranno essere decisi ed anche grossolani ma mano a mano che ci si avvicina all’essenza di noi stessi il lavoro deve divenire più raffinato, più preciso.
Al contrario, durante il percorso inverso, non facciamo che costruire intorno a noi una cortina che non ci consente di vedere oltre, che non ci consente di percepire e capire.
L’azione che più può risultarci difficoltosa è il lasciarci dietro di noi tutto ciò che fino a quel momento abbiamo costruito, dobbiamo essere in grado di abbandonare la nostra zona di confort e rimetterci in discussione, solo così potremmo essere dei veri Uomini del dubbio. Dubitare, cari Fratelli, ci pone in una posizione scomoda, tanto più se dubitiamo di noi stessi. Quante volte dubitiamo di ciò che siamo?
In questa “scomodità” bisogna svelarci, metterci a nudo e ripartire.
Giancarlo Bordi
Separare, togliere per ripartire … nel mondo conosciuto, animale e vegetale questo meccanismo avviene in ogni istante, scintilla che determina l’evoluzione del creato.
La morte e la nascita, la pianta che muorendo lascia un nuovo germoglio che sostituirà la vecchia.
Il passerotto che separandosi dalla madre inizia a battere forte le ali e si catapulta fuori dal nido non sapendo se questo basterà per volare… segue l’istinto, un imprinting primordiale che gli da la forza di osare…
Il bambino che inizia a muovere i primi passi, non sa se le gambe piccole e fragili potranno sorreggerlo ma l’istinto lo guida e lo fa.
Ad un tratto però l’istinto lascia il passo alla ragione, inconsapevolmente iniziamo a costruire la nostra prigione rinforzandola sempre di più. Iniziamo a dare la colpa a chi ci circonda perché non “abbiamo occhi per vedere”.
Siamo inglobati nella roccia, immobili fintanto che un episodio genera una piccola crepa che lesiona la roccia… inizia il processo, il percorso dell’Iniziato.
Separare volontariamente ciò che ci “copre, che ci nasconde” capire cosa si vuole e come ottenerlo, quel blocco dalla forma asimmetrica che inizia ad assumere la forma desiderata. Quanta fatica, quanti dubbi, quanta pazienza per modellare la nostra pietra seguendo i consigli dell’anima e non più dei stereotipi profani che ci coprono quotidianamente gli occhi.
Ripartire….
Roberto Vinci
Separare, togliere per ripartire , un processo di trasformazione che parte dalle nostre origini da quando nasciamo in un mondo profano e facciamo parte di quei blocchi di pietra all’interno di una cava , massi informi che hanno un potenziale, che una volta scoperto vengono separate dalle altre ed inviate ognuna all’artigiano a cui appartengono. Quel artigiano è l essenza stessa della pietra il nostro io interiore che vedendo quel potenziale decide di dedicarsi a lei e qui inizia quel percorso iniziatico tutto altro che facile ricco di dubbi impegnativo e pieno di combattimento . Come diceva Il Caravaggio all interno del marmo è già presente il lavoro finito, quindi sta a noi raggiungere quelle forme, quell’ armonia e quella saggezza che ci siamo prefissati di raggiungere, quindi comincia qui per noi quel processo di sottrazione necessario a raggiungere quella opera d’ arte che alberga in noi. La sottrazione consiste nel togliere quel superfluo da cui siamo assediati quotidianamente come i metalli i cattivi sentimenti e tutto ciò che non è essenziale, poiché l essenziale è quello che ci serve per raggiungere l obiettivo che ci siamo prefissati. Il percorso verso la rinascita non rappresenta solo la strada ma anche le regole e gli strumenti atti a raggiungere quel luogo della nostra anima giusto e perfetto. Nel romanzo L idiota di Dostoevskij il principe pronuncia la famosa frase la bellezza salverà il mondo, a cui aggiungo che la bellezza che salverà il mondo è proprio quello della rinascita.
Roberto Terranova
Nasciamo liberi ed ignari della realtà che ci circonda. Poi crescendo cominciamo a conoscere il mondo che ci si para dinnanzi e ci ritroviamo a costruire su noi stessi delle sovrastrutture dettate dalla nostra esperienza. Quindi la nostra essenza è ingabbiata nelle maglie della mente che come detto basa le sue deduzioni sull’esperienza fatta in questo mondo, ma la realtà è composta solo da quello che vediamo, tocchiamo, sentiamo? Vi è una parte di noi, la più nobile, la più creativa e per questo forse la più vicina al l’architetto. Io ad esempio mi voglio concentrare su come il rituale di apertura lavori effettua su di noi una cesura con il mondo profano. Durante l’aperura lavori di fatto noi RIVIVIAMO l’aperura dei lavori come i liberi muratori erano soliti fare nel 1162 a Kilwinning. Quindi mi trovo d’accordo con l’affermazione separare per ripartire ed aggiungo questa a mio avviso è una esperienza che solo un’iniziato può capire perchè va vissuta in prima persona.
Stefano Bonifazi
Separare togliere per ripartire questo splendido lavoro di Emanuele, sottolinea in maniera decisamente esplicativa il cammino che ognuno di noi, deve affrontare per elevarsi ad uno stato superiore esterno e lontano dal mondo profano dal quale tutti noi proveniamo.
Nelle ultime due tornate ho avuto la fortuna di partecipare come parte attiva ad una iniziazione a maestro di un nostro fratello, che mi ha reso chiaro più di prima la bellezza del cammino verso la luce. Ho percepito per la prima volta in maniera decisa il percorso che ognuno di noi (nuovi iniziati )deve affrontare per migliorarsi e migliorare se stessi e ciò che ci circonda, separarsi da tutte quelle sovrastrutture, abitudini profane e pensieri superficiali ed estrarsi dal pensiero di massa per ripartire e per diventare in maniera figurativa una pietra da levigare da sgrossare in modo tale che diventi parte del tempio. Ho apprezzato molto questo scritto e la similitudine descritta da Emanuele rispetto alla massa informe che viene estratta dalla cava per essere lavorata e diventare pietra fondamentale nella costruzione del tempio è uno spunto eccezionale che riassume benissimo il tema a titolo di questo lavoro, separare togliere per ripartire.
questo è il percorso che ognuno di noi deve affrontare per giungere consapevole all’interno del tempio(siamo chiamati ad abbandonare qualcosa sulla soglia del tempio, che ci impedisce di percepire l’effetto della luce sulla sulla nostra anima).
Come riportato da Manuele in questo testo, il fratello che si abbandona con fiducia all’ordine lo fa in virtù del pregresso abbandono o separazione di tutti i mali che il mondo profano instilla nel cuore per avere successivamente la capacità e la forza di varcare la porta del Tempio, il profano (pro fanus davanti al Tempio) si separa da tutto ciò che è inutile o malevole e muove un passo all’interno di un’area sacra consapevole che tale separazione è solo l’inizio di un lavoro importante e faticoso verso la luce.
Il lavoro ininterrotto che il muratore è chiamato a compiere perché questa separazione sia necessaria per ripartire come iniziati è veramente ben chiaro [cit].
Questo mio intervento spero sia d’aiuto hai tanti fratelli di questo gruppo ancora poco partecipativi ed è un invito ad uno sforzo maggiore appunto, di partecipazione da parte di tutti quei fratelli che hanno scelto come me questo percorso iniziatico.
Emanuele Seretti
Separare, togliere per ripartire. La prima immagine che si dispone nella mente è lo sgrossamento della pietra: la levigazione della scorza non trattata, ancora grezza. Quanto vi è di impuro e di superfluo viene tagliato via per dare al blocco di costruzione la forma e la dignità necessarie, perché contribuisca anch’essa all’edificazione del Tempio. Questo è il Cammino Iniziatico, il progresso del Fratello. Ma ora ci viene proposto un tema differente: qui la separazione, la sottrazione, non è da ricercarsi nel cammino – ma ne è la premessa. Qualcosa è tolto perché si sia in grado di muovere il passo, di camminare nel Tempio. Al momento della sua iniziazione al grado di Apprendista, infatti, il candidato si presenta di fronte ai Fratelli in stato di totale privazione. Tutto gli è sottratto, egli è un derelitto. Ma se egli non fosse così spogliato di ogni bene, non potrebbe richiedere l’ausilio dei suoi futuri Fratelli. La sua povertà manifesta non solo l’indigenza dell’uomo d’Occidente che vaga verso l’Oriente: è il prerequisito essenziale perché si possa degnamente avanzare verso le cattedre del Sole.
Questa è la necessità dell’abbandono, per un Iniziato. Abbandono: una parola che risuona di una duplicità solo apparente.
Siamo chiamati ad abbandonare qualcosa, anzitutto. È parte del giuramento che ci viene richiesto: i pregiudizi sordi, i pensieri nutriti dall’odio, la durezza del cuore. Tutto ciò va abbandonato alla soglia del Tempio e, auspicabilmente, lasciato fuggire da sé, in seguito, per sempre, grazie al lavoro ininterrotto che il Muratore è chiamato a compiere. Perché questa separazione sia necessaria per ripartire come Iniziati è ben chiaro.
Ma «abbandono» è pure una posizione dell’anima. Quando l’iniziando muove bendato i suoi passi, egli è sottoposto a ogni rischio. Non sa chi possa presentarsi di fronte a lui, se egli stia per imbattersi in pericoli. In tutto il suo percorso egli può vivere degli stessi dubbi, perché una vita significativa (come è quella degli Iniziati) è percorsa da rischi proporzionati all’intensità con cui si percepisce il sovrannaturale della propria esistenza e del proprio cammino. Egli tuttavia non indietreggia, non pretende che la benda (fisica e spirituale) sia subito tolta dai suoi occhi. Confida nella potenza e nella bontà dei suoi Fratelli, della sua Istituzione – si abbandona a essa.
Che rapporto ha questo abbandono con il tema proposto, con la perdita necessaria per avanzare? A un primo sguardo nessuno, se non quello della parola. Ma se si osserva meglio, si noterà che i due tipi di abbandono sono, in realtà, la stessa cosa. Il Fratello che si abbandona, con fiducia, all’Ordine lo fa in virtù del pregresso abbandono di tutti i mali che il mondo profano instilla nel cuore: l’astio, la meschinità, la riserva, la volontaria schiavitù della mente. Chi non si libera di ciò, chi non taglia da sé stesso queste porosità del comportamento, non riuscirà a lavorare davvero sulla propria persona:
non riuscirà ad abbandonarsi alla sua formazione come Muratore, perché qualcosa di oscuro continuerà a frenarlo a ogni progresso. Ciò equivale, ancora, al lavoro di una pietra: perché si proceda a sgrossarla, è necessario prima estrarla in blocco, separarla dalla cava. Si deve venir estratti dalla prigione della propria ristrettezza abituale per venir plasmati dalla propria volontà di vedere la Luce.
Ciò distingue l’Iniziato dal Profano. Egli sa che, già prima di lavorare al proprio miglioramento, alla propria piena acquisizione della natura di uomo, è necessario un passo nel vuoto, faticoso ma necessario. Ciò fa sì che questo cammino sia «per tutti e per nessuno» e lo rende ancora più necessario da percorrere.
Marco De Giovanni
Separare per rinascere, la separazione dal grembo di nostra madre e’ a tutti gli effetti una rinascita.
Inizialmente ci siamo sviluppati al suo interno, abituandoci a dipendere in tutto e per tutto da lei, vivendo passivamente avvolti nel comfort.
Una volta “separati”, abbiamo potuto “rinascere”, in un mondo che ci e’ ostile, dove per sopravvivere non si può rimanere passivi.
Essendo costretti a vivere attivamente, sviluppiamo capacità dialettiche, motorie e intellettive sotto il condizionamento di “maestri”(genitori, insegnanti, parenti, amici…).
Per la maggior parte degli uomini questi insegnamenti bastano, ciò che apprendono dagli altri li soddisfa, perché mettere in dubbio la “verità”?
Per un iniziato non è così.
Un iniziato per quanto possa sforzarsi ad omologarsi al credo comune, non riuscirà mai fino in fondo perché dubbi e incertezze lo accompagneranno per tutta la vita.
“Togliere per ripartire” è l’espressione che racchiude tutta la voglia di scrollarsi di dosso queste etichette, usi e costumi che ci propinano sin dalla tenera età e ripartire da zero.
“Togliere” tutto ciò che ci è stato dato senza chiederlo e “ripartire” raccogliendo solo ciò che si vuole, solo ciò che riteniamo strettamente necessario.
Non voglio screditare il lavoro di nessuno, non mi sento superiore e sono grato degli insegnamenti che ho appreso da quando sono nato, ma il bisogno di voltare pagina è incontenibile.
Mettere in discussione tutto è alla base di un iniziato.
Il nostro “togliere” non è sinonimo di “gettare” o “buttare” ansi tutt’altro.
“Ripartire” tende a significare che già un percorso è stato fatto.
Non è “togliere per partire” ma per “ripartire”.
Per intraprendere una nuova strada ed assorbire il tutto senza condizionamenti, bisogna essere nudi.
Non sappiamo dove ci porterà questo viaggio, noi cerchiamo la
Luce, il divino… lo cerchiamo dentro di noi perché fuori evidentemente non lo abbiamo trovato e non ci è stato mostrato.
Probabilmente non lo troveremo o ci andremo vicino ma il solo cercarlo ci fa sentire meglio.