Il Lavoro a Specchio.

IL METODO PER CONOSCERE SE STESSI

Sin dall’antichità gli Iniziati si riunivano in luoghi particolari e unici, ben distinti e separati dalla quotidianità e geometricamente molto ben definiti. Ciò accadeva anche se il luogo era una semplice altura di un colle o una radura di un bosco, il loro disporsi richiamava sempre il cerchio o il rettangolo. I motivi sono molteplici ma quello che riguarda in modo specifico questa Tavola è il lavoro a specchio. Quando ci si dispone a cerchio o, come noi, attorno ad un tavolo rettangolare, tutti i fratelli si vedono reciprocamente. Ciò accadeva ad esempio nei Mitrei che possiamo ammirare nelle catacombe romane o nel nostro territorio tra Vulci e Sutri e accade ancora oggi negli attuali Templi Massonici.

Per contro nelle Liturgie delle chiese essoteriche i fedeli non si guardano negli occhi perché sono tutti rivolti verso il Sacerdote che diviene il protagonista dell’evento. Nel Vetus Ordo, ora tristemente impedito per decreto pontificio, anche il Sacerdote era rivolto ad orientem, spalle al popolo, perché il padrone della scena era “l’Invisibile Ospite Eccellente”.

È dunque chiaro che la disposizione geometrica dei partecipanti alla cerimonia definisce il tipo di lavoro che si va a svolgere e la cerimonia stessa. Gli Iniziati da sempre lavorano a specchio.

A questo punto ci chiediamo perché per i lavori iniziatici si usa la proprietà dello specchio che fondamentalmente è quella di rimandare l’immagine fisica. E cosa c’entra lo specchio con il sedersi ad esempio a cerchio o a rettangolo?

Quando ci guardiamo allo specchio possiamo vedere chi siamo nella nostra dimensione fisica, prendiamo coscienza del nostro aspetto e della nostra forma. Lo specchio ha la mirabile proprietà di riflettere la nostra immagine sensibile e fisica però capovolta nel verso destra–sinistra. Dagli studi sulla costituzione occulta dell’uomo e della donna, che i lavori di Madame Blavatsky, Rudolf Steiner e René Guénon hanno portato alla conoscenza dei ricercatori esoterici, sappiamo che il corpo fisico è uno dei tanti corpi che compongono la personalità che è il veicolo che l’Ego usa durante l’incarnazione per poter fare le sue esperienze nei vari piani di esistenza. Ma la personalità e l’Ego non sono visibili ai sensi fisici, lo specchio non li riflette. La Psicologia, la Psicoanalisi e la Sociologia spiegano molto bene come i processi cognitivi che portano alla definizione e alla consapevolezza di sé, del proprio carattere, della propria personalità e identità sono il frutto dell’esperienza di ritorno che riceviamo dalle persone e dagli ambienti con cui siamo in relazione. Quando noi diciamo: “io sono fatto così…” lo diciamo sostanzialmente perché ci siamo fatti un’idea di noi da come gli altri ci hanno risposto o da ciò che ci hanno lasciato nel bene o nel male sin dalla più tenera età. L’identità sul piano psichico è un “dono sociale” o, per dirla in altri termini, impariamo a definirci attraverso le esperienze di ritorno, attraverso i feedback che gli altri e l’ambiente ci donano. Pertanto la personalità e l’identità sono un riflesso degli atteggiamenti, delle riposte e degli sguardi che gli altri ci rimandano. Noi ci rispecchiamo nelle espressioni e negli occhi degli altri e ci facciamo una idea di chi siamo attraverso come veniamo percepiti e trattati. Ci siamo così spostati dal piano della forma al piano psichico delle idee e dei concetti, il piano senza-forma. Lo specchio sociale del nostro Ego sono gli sguardi e i comportamenti degli altri e l’immagine che ne traiamo mentalmente non è più ribaltata nel verso destra-sinistra, non avendo più una forma, ma dentro-fuori. Essa è come il negativo di ciò che vediamo di noi guardando gli altri. Abbiamo dunque uno specchio fisico che riflette la nostra immagine corporea ribaltata nel verso destra-sinistra e uno specchio psichico, gli occhi e gli atteggiamenti degli altri nei nostri confronti, che riflette l’idea senza-forma del nostro Ego e quindi al negativo, dentro-fuori.

Ma dagli studi dei suddetti autori, dalla nostra Tradizione Iniziatica e dalle nostre personali esperienze interiori, sappiamo che l’uomo cela dentro di sé, su un piano ancora più profondo e sempre più sottile, il così detto “Piano Causale” o “Mentale Superiore” dove risiedono le “Luci dell’Individuo”, i suoi centri vitali energetico-spirituali che vanno a strutturare e definire l’esperienza dell’Ego con i suoi veicoli sui vari piani di esistenza e manifestazione. Questo “Corpo Causale” è il senza senza-forma. Qui la consapevolezza si esprime come Volontà pura e senza scopo, intuizione delle Verità Eterne e lo stato di coscienza è l’estasi mistica. Gli iniziati e i mistici che praticano le varie forme di ascesi e meditazione trovano nei simboli la chiave per questo passaggio di stato e per lo sviluppo della consapevolezza di sé. Il lavoro a specchio a questo livello è ancora più necessario e importante dovendo lavorare sul senza senza-forma. La Loggia, le varie Cariche come il Ven.mo, il 1° e il 2° Sorvegliante, i Diaconi, il Segretario e il Copritore con i loro rispettivi Gioielli, i Maglietti, le Colonne, la Pietra grezza, le Spade e le Piccole e le Grandi Luci diventano un unico Simbolo Vivente che si dinamizza attraverso il Rituale. Sappiamo che nel percorso Iniziatico, il Simbolo viene usato in modo “Verticale” poiché esso ha la capacità di ricondurre chi ne fa esperienza agli Archetipi, alle Immagini Luminose della realtà Sovrasensibile. In senso “Verticale” il Simbolo unisce il Cielo alla Terra permettendo al mondo sensibile e visibile di percepire e fare esperienza del mondo invisibile a cui la forma del Simbolo fa riferimento. In questo senso la sua funzione è quella di riunire ciò che è disperso, di reintegrare ciò che è separato. Così tutta la Loggia attivata e dinamizzata dal Rituale diviene Simbolo della nostra stessa Coscienza che, attraverso l’Azione Intellettiva, può intuire e prendere consapevolezza di sé. Se lo specchio fisico rimanda la nostra forma ribaltata destra-sinistra e lo specchio sociale rimanda l’immagine mentale della nostra identità al negativo, dentro-fuori, a questo livello Causale il lavoro a specchio degli Iniziati agisce sul “ri-conoscere” per intuizione intellettuale se stessi nella propria Essenza. Accade così che la Coscienza, vivendo e partecipando il Rituale e i Simboli di Loggia, si identifica nella scena, vede se stessa e appunto si ri-conosce.

Autori come Kant, Fichte, Schelling e Hegel, secondo la corrente del pensiero filosofico chiamata idealismo, definiscono «l’intuizione intellettuale come l’atto con cui il pensiero, nel riflettere su di sé, si rende oggetto a se stesso. Prendendo coscienza di sé, esso si dà un contenuto tramite il quale riesce così ad attivarsi: il pensiero è infatti necessariamente pensiero di qualcosa, poiché non esiste un pensiero senza contenuto. L’intuizione intellettuale è dunque l’attività originaria con cui il pensiero pone se stesso, e tramite cui, conoscendosi, rende possibile un sapere nel quale consiste propriamente la filosofia stessa. Essa è la percezione immediata che “Io Sono”!» L’Intuizione Intellettuale è un apprendere e al contempo un produrre la propria auto-coscienza e auto-consapevolezza.

Questa speciale magia chiamata genericamente “Risveglio”, che gli Iniziati sperimentano quando il loro Lavoro permette di attivare sia il Tempio che il Rituale affinché agiscano come Porta e Chiave Simboliche per accedere alle dimensioni sempre più sottili e Spirituali di Coscienza, la troviamo spiegata nel Libro “Il secondo messia” di C. Knight – R. Lomas (Mondadori 1998): «Il muro occidentale e l’intera pianta di Rosslynn costituivano una perfetta riproduzione delle rovine del Tempio di Erode, mentre la struttura sovrastante il pianterreno e sporgente dal suddetto muro rappresentava un’interpretazione della visione di Gerusalemme celeste descritta dal profeta Ezechiele. A Rosslyn le colonne principali, Boaz e Jachin, hanno una collocazione identica a quella che avevano nel santuario di Gerusalemme. Descrivendo gli scavi delle rovine del Tempio di Erode, il rituale del grado massonico noto come Santo Arco Reale accenna chiaramente a due splendidi pilastri, che dovrebbero essere situati a est e ad altre dodici colonne di normale fattura, come quelle di Rosslyn per l’appunto. Osservammo poi che la disposizione delle colonne formava una perfetta tripla tau (tre figure a T intrecciate), esattamente come descritto nel rito massonico. Il quale, tra l’altro, accenna all’esistenza di un «sigillo di Salomone» (o stella di Davide) unito alla tripla tau. Durante un’ulteriore indagine scoprimmo che l’intera geometria dell’edificio ruotava di fatto attorno a questo disegno. […] La spiegazione massonica del «sigillo di Salomone» recitava così: Il gioiello del Compagno dell’Arco reale è un doppio triangolo, detto anche sigillo di Salomone, all’interno di un cerchio d’oro; nella parte inferiore c’è un rotolo con la scritta Nil nisi clavis deest (nulla manca eccetto la chiave), mentre sul cerchio compare la legenda Si talia jungere possis sit tibi scire posse (se comprendi queste cose, conosci quanto basta). William Saint Clair aveva accuratamente nascosto il proprio messaggio cifrato nei rituali della massoneria, che dovevano essere stati in vigore prima del 1440. Eravamo più che certi, a quel punto, che l’architetto del Tempio di Jahvè scozzese avesse inserito le spiegazioni di questi antichi simboli in modo che in un futuro remoto qualcuno potesse «far girare la chiave» e portare alla luce i segreti di Rosslyn.»

Così quando gli Alchimisti parlano di Grande Opera e i Maestri Iniziati di Ars Regia fanno riferimento al lavoro interiore di purificazione e sgrossamento, che avviene per gradi di sviluppo e risveglio, e che permette alla Coscienza di aprirsi alla Visione Chiara e Distinta delle Verità sull’Uomo, sulla Natura del tutto e su Dio. Quando l’inconscio e il sub-cosciente emergono alla Coscienza l’Uomo scopre, conosce e ri-conosce se stesso, si libera dei condizionamenti dell’Ego e delle forme pensiero condizionate e create e si scopre “Puro Intelletto”, “Spirito Incondizionato e Ricettivo delle Verità Eterne”, “terso Nous”, “Essenza riflettente la Vita Divina”, proprio come ci insegna la tradizione Cabalista. Quando nel libro della Genesi (1,26-27) leggiamo che al sesto giorno Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra Immagine, a nostra Somiglianza […], Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò», possiamo cogliere il senso profondo della Creazione ovvero che l’uomo è un Simbolo, una «Immagine e Somiglianza» dell’Altissimo perché Dio si è specchiato nell’Uomo, nella sua parte più nascosta, Sacra e profonda che è la sua stessa Vita che abita nel profondo del suo Cuore. Chiudo questa riflessione sul lavoro a specchio degli iniziati e delle mirabili Vette cui può condurre ricordando a tutti noi che la grande insidia delle nostre “conquiste Spirituali” è il non porsi la domanda delle domande! Sì è proprio così, l’Iniziato è un “Guerriero della Luce” o un “Cavaliere armato di Spada” perché come dice il Maestro Gesù: “Il regno dei cieli subisce violenza e i violenti se ne impadroniscono” (Matteo 11,12). “Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra: sono venuto a portare non pace, ma spada!” (Matteo 10,34). “La legge e i profeti arrivano fino a Giovanni; da allora in poi il regno di Dio è annunziato e ognuno si sforza di entrarvi.” (Luca 16, 16-17). La grande insidia dell’Iniziato è la stessa in cui cadde Parsifal quando, entrando nel Castello Incantato e trovatosi davanti alla Cerimonia del Sacro Graal, non ha posto la fatidica domanda: “a cosa mi serve il Graal?”. Parsifal si sveglia per terra intorpidito, confuso e stordito senza più Castello e senza più il Graal. Per non incorrere in questo grave pericolo concludo questa Tavola sul metodo del lavoro a specchio per conoscere se stessi con il famoso Motto dei Templari: “Non nobis Domine, non nobis, sed nomini tuo da gloriam“.

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  1. Il primo luogo in cui l’uomo si perse, Fratelli, fu lo specchio: perché era più nota la selva che il proprio viso. Possiamo immaginare lo sconquasso che provò il primo uomo, quando scorse nell’acqua – il più antico specchio – un volto, che ancora non sapeva essere il suo. Provò certo intensa paura, verso quello straniero, verso quel nemico che emergeva dal fondale di un fiume o di un lago. Pensò forse che fosse lo spirito pericoloso di un morto – perché i morti abitano i luoghi umidi. Da allora si ingegnò
    a combattere quel mostro, che riaffiorava puntuale quando l’uomo sporgeva il viso sopra il filo dell’acqua. Per quanto si impegnasse, l’ignoto nemico preveniva sempre le sue mosse: si ritirava quando egli si ritirava; ghignava quando egli ghignava; e quando l’uomo lanciava un colpo, il nemico ne lanciava un altro, sempre differito, sempre inibito. Testimone lontano di questo stupore è il gruppo di favole giapponesi che hanno per protagonista lo specchio: ogni specchio, ricordano, è animato da uno spirito, che può mutarsi in demone malevolo e aggredire la sanità del proprietario.
    L’intoccabilità di quell’antagonista fece sì che il primo uomo che scorse il suo viso nello specchio si dimenticasse delle aggressioni esterne e concentrasse tutte le sue energie su quell’unico essere che pareva davvero invincibile. Il mito di Narciso ne è l’esempio: non la bellezza, ma l’eterna lontananza di quel corpo perfetto rese folle d’amore, fino allo stremo, il più bello dei fanciulli.
    Come si vinse, l’orribile nemico dell’acqua? Con l’unica arma concessa: riconoscendovisi. Nel momento della ricongiunzione, l’orrore si fece pace, l’invia soddisfazione. Inghiottendo il riflesso, esso divenne innocuo. Anzi: si mutò nel più potente alleato. Cosa può significare ciò, per un Iniziato?
    Almeno un duplice avviso. In primo luogo, invita alla cautela. Gli specchi sono oggetti ammalianti: uno sguardo troppo intenso e se ne è divorati. Si può anche vedere un volto diverso, un volto maculato e sfregiato (quale il giudizio del mondo, cieco, può vederlo). Allora si fuggirà per istinto in preda al panico, perché lo specchio ha recepito non l’immagine pura, ma il velo sottile e aderente che il mondo profano segretamente vi posa sopra. Si lascerà cadere lo specchio, il riflesso esploderà in frantumi e il
    cammino verso la conoscenza di sé verrà precluso, per viltà e orrore, in eterno.
    Ma rimarca pure un dovere fondamentale, per ogni uomo e in maniera particolare per coloro che ricercano la Luce. Acquisire la propria immagine tramuta il pericolo potenziale, che abita latente in noi, in un alleato potenziante. Tentando di percorrere verso le vie dell’anima – che il maestro Eraclito di Efeso decretò irraggiungibili, nella loro interezza – l’Iniziato ripeterà a sé stesso che tutti quei luoghi gli coincidono e prenderà coscienza dell’infinità che lo abita. Ma poiché non esistono specchi tanto
    politi da riflettere, oltre alla carne, anche l’anima, sarà egli in persona a rendersi tale – diventando soggetto riflettente, oggetto riflesso e mezzo di riflessione al contempo.

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