
Carissimi Fratelli,
prima di iniziare la mia riflessione, vorrei fermarmi un momento sulla parola “rifugio”. Il rifugio, nel suo significato più profondo, non è solo un luogo fisico dove ci sentiamo al sicuro, ma è uno spazio che nasce dentro di noi, un luogo intimo e protetto dove possiamo essere sinceri, vulnerabili, senza paura di essere giudicati.
Quando parlo di “rifugio”, intendo quel posto sacro che ciascuno di noi ha dentro di sé, dove si può riflettere, rigenerarsi e rinascere.
La Loggia, con il suo calore fraterno e il suo silenzio, è un rifugio che ci accoglie e ci protegge, creando uno spazio di libertà dove possiamo lasciarci andare alla riflessione e all’auto-scoperta.
Questa sensazione di rifugio che proviamo quando siamo in Loggia, circondati solo dai nostri Fratelli, è un’esperienza unica, quasi mistica.
È un luogo in cui ci sentiamo liberi di essere noi stessi, senza maschere, senza paure, dove la nostra parola, il nostro silenzio e i nostri gesti sono protetti da una rete invisibile di fiducia reciproca. Qui non siamo giudicati, non c’è bisogno di spiegazioni o giustificazioni, siamo semplicemente Fratelli che condividono il cammino della ricerca e del miglioramento.
Ma cosa succede quando questa sacralità viene “interrotta” dalla presenza di profani?
Quando un ospite esterno varca la soglia del Tempio, anche se solo simbolicamente, c’è un cambiamento, una vibrazione che si modifica. Non perché il valore della Loggia diminuisce, ma perché la sua natura stessa cambia.
La presenza di chi non ha percorso lo stesso cammino, che non conosce la lingua segreta dei simboli e dei riti, inevitabilmente altera il nostro equilibrio. È una reazione naturale, umana, ma altrettanto comprensibile.
Questa sensazione di “esposizione” può spaventare, ma dal mio punto di vista non è un errore. Al contrario, è un segno che la Loggia funziona, che ha veramente creato dentro di noi uno spazio sacro.
La nostra sensibilità a questa “rottura” dimostra che quel silenzio, quel legame, quella forza invisibile, che rendono la Massoneria un’esperienza così unica, sono realmente dentro di noi.
Se non sentissimo il cambiamento, se non ci fosse quella “sensazione di vuoto” quando il nostro rifugio viene interrotto, sarebbe forse il segno che non siamo ancora riusciti a far nostro quel luogo sacro.
Ma nel momento in cui percepiamo il distacco, significa che siamo stati in grado di costruire dentro di noi un Tempio interiore, uno spazio che è, e rimane, protetto, anche al di fuori delle mura della Loggia.
E a questo punto, voglio porre a tutti noi una riflessione. Posso, io, restare centrato anche quando il contesto cambia?
Posso mantenere quel senso di rifugio dentro di me, anche quando intorno a me ci sono occhi che non sono “iniziati” a vedere con gli occhi della Massoneria?
Posso, in altre parole, portare il Tempio dentro di me, senza avere bisogno che le sue pareti siano sempre fisicamente intorno?
Se sì, allora il vero lavoro del Massone maturo non è solo quello di mantenere intatta quella sensazione di rifugio, ma di espandere quel Tempio interiore. Non possiamo rimanere sempre e solo nel nostro spazio sicuro.
La nostra crescita come Fratelli non è solo nel perfezionare quello che troviamo all’interno delle colonne, ma nel portare quella pace, quella luce e quel silenzio che abbiamo dentro, al di fuori della Loggia.
E ogni volta che ci sentiamo “esposti”, ogni volta che siamo fuori dal nostro rifugio, quella è l’occasione di crescere, di testare il nostro equilibrio, di capire quanto veramente siamo connessi a quel Tempio invisibile che dobbiamo costruire ogni giorno dentro di noi.
Il vero cammino iniziatico, in fondo, non è solo quello che percorriamo in Loggia, ma quello che viviamo ogni giorno, portando con noi il meglio di ciò che la Massoneria ci ha dato.
Perché, come il Tempio, la luce che troviamo al suo interno non può essere confinata tra le colonne, ma deve irradiarsi ovunque, anche quando il mondo profano ci guarda.
E quando questa luce si riflette negli occhi degli altri, quando la nostra serenità e il nostro equilibrio diventano un esempio, allora la nostra vera crescita sarà completa.
Quando la nostra Loggia è stata aperta ai profani, anche se scelti con cura e attenzione, ho sentito una sensazione strana, come quella di un cucciolo che, per la prima volta, lascia la sua tana. Non esce di sua spontanea volontà, ma perché la madre, per insegnargli a vivere, lo mette nelle condizioni di dover mettere il naso fuori dal rifugio caldo e rassicurante.
Così, quando abbiamo aperto la Loggia, ho pensato che quella sensazione fosse naturale, che fosse una prova da affrontare per continuare a crescere. E ho capito che il mio lavoro doveva essere quello di restare centrato, di lavorare su me stesso, per non perdere il focus e per continuare a portare la luce che ho dentro, anche fuori dalle colonne.
Come dice sempre il mio Venerabile Maestro, “Per essere Massone non basta parlare di Massoneria, bisogna viverla.” E viverla significa mettersi in gioco, sperimentare, crescere attraverso esperienze positive e negative. Solo così possiamo completare l’opera che stiamo costruendo dentro di noi.
In conclusione, Fratelli, riflettiamo insieme su come affrontiamo i momenti in cui il nostro Tempio interiore è messo alla prova, quando ci troviamo fuori dalle mura della Loggia. Possiamo sentirci meno protetti, meno al sicuro, ma ricordiamoci che la vera protezione non viene mai dalle mura fisiche, ma dalla consapevolezza che il Tempio più sicuro che abbiamo è dentro di noi.
Ho detto.
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